Da Giorgio e Maria Grazia Lungarotti a Teresa e Chiara. A Torgiano l’arte del vino zampilla nel mondo
- 24 ott
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a cura di Andrea Amadei

Nella storia del vino s’incontrano personaggi che hanno cambiato le sorti di interi territori. È il caso di Giorgio e Maria Grazia Lungarotti per Torgiano, borgo di poco più di 6500 abitanti nel cuore dell’Umbria, 15 chilometri a sud di Perugia e 20 a ovest di Assisi.

Grazie al lavoro di Giorgio, e al suo “Rubesco Vigna Monticchio Riserva”, il nome di
Torgiano riecheggia in ogni angolo di mondo che sia frequentato dagli amanti del buon bere.
A Maria Grazia invece si deve, fra le altre cose, la creazione nel 1974 del MUVIT, lo spettacolare Museo del Vino di Torgiano, nato sulla base di una rigorosa ricerca scientifica e “innumerevoli viaggi per i musei di mezzo mondo” ci confessa Chiara Lungarotti, la figlia, che prosegue “è come un fratellino per me e mia sorella Teresa”. Al MUVIT, nel 2000, è stato poi affiancato il MOO - Museo dell’Olivo e dell’Olio. Entrambi sono diventati case history nel settore della museologia.
Figlio di proprietari terrieri, laureato in agraria nel 1936 con una tesi in viticoltura, Giorgio eredita le terre di famiglia e subito dopo il secondo conflitto mondiale scioglie la mezzadria. Chiede ai contadini di scegliere fra i capi di bestiame e la terra e tutti preferiscono la prima opzione, lasciando i campi. Giorgio si trova così ad amministrare in prima persona un vasto territorio collinare che decide di piantare a viti: Sangiovese in gran parte ma anche Canaiolo, Cabernet Sauvignon (da cui nascerà l’ottimo San Giorgio, “super umbrian” della casa) poi Chardonnay, Grechetto e Trebbiano Toscano.

L’epicentro è la dorsale collinare di Brufa che divide la valle del Tevere da quella del Chiascio. Da essa si diramano, in un’irregolare raggera, diverse collinette più basse, che creano una miriade di appezzamenti dalle diverse esposizioni e altitudini. Intorno, come una corona, i monti dell’Appennino proteggono Torgiano dai rovesci più violenti.
Nel 1962 Giorgio crea il mito, Il Rubesco (da rubescere - arrossire) Vigna Monticchio Riserva un vino rosso intenso ed elegante, avvolgente ed educato, passante e persistente allo stesso tempo. Le uve sono quelle del Sangiovese della vigna Monticchio, 16 ettari suddivisi in otto appezzamenti su altrettante terrazze rivolte da sud a ovest, fra i 200 e i 300 m s.l.m.. Il terreno di argille e sabbie era il fondale di un lago preistorico.

Il nome completo del vino, dopo il lavoro svolto da Giorgio per il riconoscimento della Denominazione d’Origine è: Torgiano Rosso Rubesco Vigna Monticchio Riserva Docg e ancora oggi viene vinificato da Chiara e Teresa seguendo la ricetta sviluppata dal papà. I grappoli più belli vengono raccolti a mano per primi e vinificati separatamente per ogni appezzamento. Solo dopo un anno di maturazione in legno le botti migliori vengono assemblate per creare la celebre Riserva. Ne escono al massimo ventimila bottiglie all’anno (su un potenziale di almeno centomila). Il resto delle uve e delle botti confluisce nel Torgiano Rubesco Doc, versione più immediata. Dopo un lungo affinamento di tre anni in bottiglia il Vigna Monticchio Riserva Docg esce sul mercato. Proprio a ottobre è uscita l’annata 2020, dal colore rubino impenetrabile, profumata di more e amarene, con tocchi di rosa ed erbe officinali. In bocca è agile e dal tannino soffice, molto sapido e con un finale sensuale che spazia dal chinotto al corbezzolo. È un nettare già pronto ma in grado di affinare a lungo in cantina, come solo i grandi vini sanno fare. Eccellente nell’abbinamento con carni alla griglia, formaggi stagionati o piatti a base di tartufo nero ma sublime anche da solo, magari dopo un piacevole giro fra gli affascinati reperti del MUVIT e del MOO.
Che spettacolo questa Torgiano.
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